top of page
Immagine del redattoreMarco Portu

Quello che resta

La puntata di Peter Pan era appena finita.

La voce di Cristina D'Avena cantava, per l'ultima volta, la sigla del cartone animato che mi aveva tenuto incollato alla tv per 41 episodi.


Il piccolo Marco di 5 anni realizzò in un istante che l'indomani non ci sarebbe stata un nuovo episodio.

L'epilogo tanto desiderato della storia era finalmente arrivato.

Ma le conseguenze erano drammatiche.


Scoppiai in un pianto isterico, singhiozzante e senza un'apparente consolazione.


Non so cosa fosse passato nella testa di mia madre in quel momento.

Era intenta a stirare e credo che per un millesimo di secondo l'idea di tirarmi contro il ferro l'abbia sfiorata.


Poi il genio.


Prese l'elenco telefonico.

Prese il telefono.

Prese un accordo con un fantomatico (ed inesistente) omino di mediaset per la produzione di una seconda stagione di Peter Pan, che sarebbe partita il giorno successivo.


Che volete che dica? Mi sembrò verosimile.

Il fatto che ignorassi totalmente i tempi di realizzazione di un cartone animato o che mia madre avesse chiuso l'accordo con una velocità che a me non sarebbe bastata neanche per scambiare una figurina... beh, mi destarono sospetti solo anni più tardi.


Il punto importante di questa storia non è solo l'incredibile capacità di mia madre di mettere in piedi una storia strampalata per farmi smettere di piangere.


Il punto è che, probabilmente, mi ero trovato per la prima volta davanti ad un'esperienza da "quello che resta".

L'abbiamo vissuta tutti.

Una libro divorato in pochi giorni.

Una vacanza conclusa,

Un piccolo o grande capitolo della propria vita che è terminato.


Qualsiasi cosa di bello o desiderato che sia stato atteso e vissuto con un'energia particolare ed è poi, inevitabilmente, finito.

Quando penso al tempo e all'energia spesa dagli sposi per preparare il matrimonio mi sento un po' male per loro.


Mesi di preparazione concentrati in 24 ore.


Il day after risulterà un po' spiazzante. Nulla da organizzare. Nessun fioraio da sentire. Nemmeno un parrucchiere da chiamare.

Per quanto la gestione dell'evento abbia, probabilmente, portato in dote un piccolo esaurimento nervoso, il giorno dopo ci si deve sentire un po' orfani della festa e della sua organizzazione.


La fortuna, in questo caso, è che "quello che resta" è l'inizio di un'incredibile avventura. E se avete affidato a me il vostro servizio fotografico, anche delle foto bellissime (quello che resta della modestia).


Questa sensazione spiega l'importanza del fotografo.

In effetti è l'unico professionista che continuerete a sentire anche dopo il matrimonio.


Il responsabile di "quel che resta" del giorno più importante della vostra vita.

Credo che i migliori fotografi matrimonialisti sentano questa responsabilità che si trasforma con grande naturalezza in precisione, impegno e ricerca del bello.


Con la consapevolezza che si sta fotografando un evento unico e irripetibile ad una temperatura media di 30°.


Viene da chiedersi quello che resta di un fotografo dopo una giornata così.


Resta un professionista con una stanchezza psicofisica da 12 ore lavorative, una media di 50 chilometri per tornare a casa e, se siete fortunati come lo sono stato io, un amico fotografo stanco tanto quanto te con cui parlare di progetti, cazzate e sensazioni.


I primi chilometri si passavano a parlare della giornata di lavoro.

Se si era soddisfatti o meno degli scatti, cosa avremmo rubato da quel matrimonio per metterlo nel nostro, se la band era stata brava.


Poi arrivava il momento dei progetti.

Quelli da due della notte.

"Ma se prendiamo in gestione un pub?"
"Apro un laboratorio artigianale"
"Ah..."
"Tranquillo ai matrimoni ci sono comunque!"
"Ah, fico allora!"

E da cose più o meno serie si sfociava a dire un po' di cazzate davanti ad una birra, soddisfatti della giornata lavorativa e di averla passata con un amico.


"Ciao P, ci vediamo domani"

Il 31 di Gennaio per me è una giornata da "quel che resta".


Tanto. Mi è rimasto tanto. Non quello che avrei voluto. Ma comunque tanto.


Con gli anni mi è arrivata la consapevolezza che non tutto quello che si conclude, se ne va realmente via.


Che certi legami non possono in nessun modo giungere al termine, anche se non sono più gli stessi.


Così come non è più lo stesso il mio stile fotografico.


Che per quanto possa cambiare manterrà sempre la meraviglia con cui vedo il mondo. Che ho rubato a Fabio.


E quando escono degli scatti troppo belli, sono convinto che li abbia fatti lui.

6 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page